Prata Sannita: dalla preistoria al castello Pandone

Prata Sannita è un paesino collinare situato a 333 m s.l.m., nella Media Valle del Volturno, in provincia di Caserta. È situato sul versante meridionale del Matese, alle falde della rava del Monte Favaracchi (m.1219). Il comune presenta due nuclei abitativi di differente origine: la medievale Prata Inferiore, con il Borgo fortificato e l’imponente castello, e la più recente Prata superiore, costruita su un pianoro in posizione dominante rispetto alla pianura.

Dal toponimo, appare evidente l’origine latina. Si potrebbe quindi trattare dei “prata legionum”, i campi delle legioni romane e rimanderebbe alle guerre sannitiche fra il IV e il III secolo a.C e al successivo presidio armato.

La citazione di questo toponimo (cui nel 1862 si aggiunse l’aggettivo “Sannita” per distinguerlo da quello di Prata di Principato Ultra) appare per la prima volta nel 958 nel “Chronicon”, documento ritrovato nel monastero di San Vincenzo al Volturno.

Il territorio pratese ha da sempre favorito l’insediamento umano, come dimostrano gli antichi strumenti in pietra scheggiata ritrovati e studiati dai volontari del Gruppo Archeologico locale in Località Pantani Fragneto, poco distante dai ruderi dell’antico Monastero di Sant’Agostino. Questi utensili usati per la caccia e per la concia delle pelli, coprono un ampio arco di tempo che parte dal Paleolitico medio (circa 70.000 anni) e si protrae in forma più sporadica al tardo Neolitico. I primi abitanti del Paleolitico Medio, uomo di Neanderthal, e successivamente quelli vissuti durante il Paleolitico superiore ed il Neolitico Homo sapiens, hanno occupato questi terrazzamenti vicino al Fiume Lete in condizioni climatiche molto diverse da quelle attuali e si sono ben adattati perché all’epoca l’acqua e gli animali da cacciare dovevano essere abbondanti.

In questo territorio si stabilirono anche i Sanniti, dei quali rimane come testimonianza una muraglia megalitica presumibilmente adibita a piccolo tempio, tuttora visibile denominata Muro delle Fate, posta in posizione dominante rispetto alla pianura sottostante in località Cerasa. Il sito era ideale, in quanto posto lungo l’asse viario che permetteva di raggiungere importanti città sannitiche, quali Boiano e Isernia. Dopo le guerre sannitiche, anche Prata subì gli influssi della dominazione romana, come dimostrano i ritrovamenti da parte dei volontari del Gruppo Archeologico Prata Sannita di abbondanti materiali ceramici e strutture muarie pertinenti a ville rustiche databili, vere e proprie fattorie attrezzate di tutto, la cui costruzione va inquadrata in un arco di tempo tra il II secolo a.C. e il III secolo d.C. A testimoniare maggiormente l’influsso della dominazione romana hanno contribuito il ritrovamento di reperti recuperati in occasione della costruzione della strada Pere Socillo in località Acquaro dove sono emersi i resti di un fabbricato con frantoio e il ritrovamento in località “Le Starze” di resti di una costruzione con pavimentazioni in mosaico bianco e motivi lineari neri durante i lavori di scavo per la metanizzazione. Già zona periferica ricadente nel perimetro della città di Allifae (Alife) nel periodo tardo romano a partire dal V secolo la zona si andò lentamente spopolando e durante i secoli successivi (secoli VIII e IX) subì le scorribande ed i saccheggi da parte dei Saraceni che ne distrussero gli antichi abitati. Successivamente a partire dal Sec.X l’influenza e la protezione dei Territori da parte dei vicini Monasteri di Montecassino e di San Vincenzo al Volturno ne favorirono il ripopolamento e la rinascita delle attività agricole e di allevamento.

La Tabula Peutingeriana non riporta alcuna indicazione di Prata sulla strada che corre fra Adlefas/Allifae e Esernie/Aesernia. Gli unici toponimi intermedi presenti sono quelli di “Ebutiana” (Ailano?) a sud e Cluturno (Monteroduni?) a nord. Ciò potrebbe essere spiegato, almeno in parte, col fatto che spesso sono riportate solo le cosiddette “stationes positae” (stazioni di posta) per il cambio dei cavalli distanziate fra di loro da circa 8 o 10 miglia. Prata risulterebbe così un punto intermedio fra i due riportati.

Nel 570 circa alcune famiglie longobarde si stabilirono in località “Fara” e da lì partirono per effettuare scorribande anche contro l’abbazia di Montecassino. Fonti storiche danno per certa l’esistenza di Prata sin dal 600 d.C. Tra il IX e il X secolo d.C. i Saraceni effettuarono numerose scorrerie in questa zona, perciò gli abitanti dell’antico centro “Prata Piana” cominciarono a rifugiarsi in un posto più protetto per edificare, sul colle che domina il fiume Lete, un poderoso castello e il borgo fortificato (X-XI secolo), dando origine a Prata Inferiore. A partire dall’anno Mille, Prata acquista sempre più importanza militare e politica. Prima è parte della contea di Alife con proprio baroni quali Arnaldo, Ugone, Rainone, quindi acquisisce autonomia con Simone e Giordano di Rainulfo in un cui atto del 1197 Prata è definita civitate e non semplice castrum. Sotto i Normanni, si unifica con la Baronia di Boiano e raggiunge la massima espansione nel XVI secolo quando contava 1700 abitanti.

Nel 1334 i Pandone diventarono i signori di Prata e l’amministrarono per circa 200 anni. Francesco, nominato conte di Venafro nel 1443, amministró la baronia sino al 1457. A lui successe il nipote Scipione (figlio del suo primogenito Carlo, morto prematuramente), che governó sino al 1492, quando gli successe il figlio Carlo, che morí 6 anni dopo nel 1498. Enrico (figlio di Carlo) aveva solo 4 anni quando successe al padre, pertanto fu la madre Ippolita d’Aragona ad amministrare i possedimenti concessi da re Alfonso d’Aragona, tra cui la contea di Venafro e la baronia di Prata, sino alla sua maggiore età. Dopo la morte di Enrico nel 1531, il castello passò nelle mani di diverse famiglie ed ebbe inizio la lenta decadenza del luogo. Il centro nuovo dista 500 metri dal Borgo Medievale e domina la vallata sottostante. Questo iniziò a svilupparsi intorno alla fine del Cinquecento, nella zona detta “Pagliara” dove i contadini abitavano in capanne di paglia e si dedicavano al lavoro dei campi. Nel corso dei secoli questo originario nucleo abitativo si estese sempre di più fino ad inglobare strutture importanti di epoche precedenti come la Chiesa di San Pancrazio e il Convento di San Francesco voluto da Scipione Pandone (ivi seppellitto su sua richiesta) e inaugurato nel 1480.

Il territorio venne interessato dal fenomeno del brigantaggio, in special modo nel corso della primavera e dell’estate del 1861, quando fu continuamente percorso da bande brigantesche In quest’anno, infatti, la cittadina partecipò al moto rivoluzionario contro i Piemontesi, appoggiano apertamente il movimento rivoluzionario filo-borbonico, ed i suoi abitanti, accogliendo l’invito del re Francesco II, andarono ad ingrossare le file dei briganti.

Ai primi del Novecento l’Amministrazione Provinciale di Caserta concesse alla società elettrica della Campania la derivazione delle acque del fiume Lete prima dell’immissione nelle grotte di Cavuto e una parte di terreno in contrada Rava, fino al mulino, al fine di poter costruire in Prata una centrale idroelettrica, ivi comprese le abitazioni dei dipendenti, oltre che le strade di accesso.

Per realizzare quest’opera di alta ingegneria, agli inizi del 1907, la Società Meridionale di Elettricità con sede in Napoli, costruì, al di sopra della Grotta di Cavuto una diga di sbarramento del fiume Lete, alta trenta metri e del tipo a gravità, realizzando così a Letino il lago che serviva come bacino idroelettrico. Queste acque del lago furono convogliate in una tubatura in ferro posta all’interno di una galleria, ottenuta perforando la parte rocciosa, della lunghezza di circa 900 metri, che sbucava sul versante di Prata Sannita e, da questo punto, continuava la condotta forzata lungo la costa della montagna. Tutta la lunghezza della condotta era di circa 1800 metri e l’acqua in essa convogliata scendendo dall’alto azionava le turbine della centrale costruita più a valle e contenente i relativi macchinari (turbine, alternatori, trasformatori e apparecchiature varie).

La centrale idroelettrica, chiamata anche Officina Lete o Centrale Lete, fu inaugurata nel 1910. La stessa rimase in funzione fino al 31 ottobre 1943, data in cui fu fatta saltare in aria dalle truppe tedesche, che battevano in ritirata di fronte agli attacchi delle truppe alleate. Un’altra centrale fu costruita tra il 1946 e il 1947 e ubicata, questa volta, alle falde della montagna, e operativa fino al 1969, in quanto le acque del Lago di Letino furono versate attraverso una condotta forzata nel lago artificiale di Gallo Matese per alimentare la centrale idroelettrica di Capriati a Volturno, ma sono sfruttate anche per il funzionamento della centralina di Gallo Matese. Questo maestoso impianto, frutto della tecnica e del progresso degli anni cinquanta, è stato, fino a che funzionante, il fiore all’occhiello per Prata in quanto era una delle poche centrali che forniva una notevole quantità di energia, anche oltre i confini dell’Italia e, attraverso la SETAC, forniva energia al paese. Molti degli operai che vi lavoravano risiedevano negli alloggi costruiti presso la centrale stessa e alcuni di essi si stabilirono a Prata mettendo su famiglia; a Prata ci sono solo i ruderi delle due vecchie centrali e, ben visibile, la condotta vuota che scende giù dalla montagna.

Con la seconda guerra mondiale, Prata ospitò un notevole numero di truppe, sia alleate che tedesche. Fino alla data dell’armistizio di Cassibile, reparti di truppe italiane presidiarono la centrale elettrica, l’entrata della galleria della SME che porta a Letino e il castello medievale. Nel palazzo Cameretti era alloggiato il comando militare. Dopo l’armistizio, i reparti italiani disertarono e abbandonarono tutto; a partire dal 15 settembre 1943 il paese fu continuamente preda di razzie da parte delle truppe di occupazione tedesche. Il 24 ottobre 1943 venne distrutta la centrale elettrica sita in località Rava secca sul fiume Lete, da parte dei guastatori dell’esercito mentre molte persone che si erano rifugiate nei sotterranei del Convento di San Francesco furono scoperte dai tedeschi, deportate in località Piana e minacciate di fucilazione. L’intervento dell’aviazione americana, che sottopose la zona ad un furioso bombardamento, salvò la vita di questi uomini. Il 31 ottobre gli americani entrarono in Prata Inferiore mentre la notte successiva veniva occupato il centro del paese.

Fonte: Wikipedia

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